Peter Jackson ha trovato la location che riesce a fargli esprimere tutto il suo potenziale. La sua location. Nelle sue terre evoca l'universo fantasy di Arda come se ci avesse sempre vissuto. Il Giappone feudale è l'Arda di Takashi Miike. In quel contesto storico si gira e rigira come meglio crede, dando pieno sfogo alla sua inventiva.
Così come era successo con 13 assassini, anche con questo Ichimei viene rispolverato un vecchio lungometraggio degli anni '60, rivitalizzandolo con una linfa carica di miglioramenti. Il tocco di colore, tinte marcate e accese, cattura l'attenzione degli occhi. Il suono lieve e quasi impercettibile enfatizza i passaggi cruciali: i taiko che da lontano annunciano la verità del dramma in corso: tutto vero, sta succedendo.
Il genere di film che abbiamo di fronte combina i costumi e le tradizioni tipiche del Jidai-geki con le forti emozioni proprie del film drammatico. Il "drama" esplora il conflitto caratteriale dei personaggi attraverso dialoghi (il silenzio fa parte del dialogo) e con pochi momenti di vera azione, ma anche in quelli regna la teatralità dei movimenti, modellando una forma cinematografica di pièce teatrale. L'umanità delle persone viene posta in primissimo piano, privando l'onore del samurai di ogni valore e senso logico, tanto da farmi considerare l'intero prodotto una stupenda opera umanista, in cui la dignità della persona viene scaraventata in faccia allo spettatore.
Le difficoltà economiche affrontate dai protagonisti rendono questa storia molto attuale, per il periodo di crisi che stiamo vivendo nei nostri giorni. Da questo aspetto e anche per il lato umano, richiama un film visto recentemente Win Win di Thomas McCarthy. Per il connubio tra i generi Jidai Geki e dramma, invece bisogna assolutamente citare The Twilight Samurai di Yôji Yamada.
Siamo nel 1634, anno 11 dell'era Kan'ei. Un samurai di nome Hanshiro Tsugumo chiede udienza presso la dimora di un nobile signore locale, con la precisa richiesta di ottenere una fine degna, onorando il rito, facendo seppuku nel cortile d'ingresso nella casa del clan. Qui gli viene detto di un ronin di nome Chijiiwa Motome che si presentò da loro per lo stesso motivo. E incomincia il racconto.
"Io sarei pazzo?
Io, semplicemente, vivevo.
Aspettando la primavera."
Io, semplicemente, vivevo.
Aspettando la primavera."